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me con penna tinta negl’inchiostri di un cuore stupido all’immensitá impercettibile di quel sublime ingegno. Passeranno i secoli prima che il mondo ottenga da Dio un simile al Marino; e alla dolcezza di quello stile, alla proprietá di quelle voci, alla felicitá di quelle rime, stentino e ranchino i maligni quanto possono, non sono per arrivar mai.

E’ ci vuol altro che il compasso che misuri i membri al punto matematico, la bilancia che pesi gli atomi, l’alchimia che distilli il niente, e la chimera che anatomizi gl’istanti. E l’importanza non consiste in formar processo per inquisizione sopra il poema d’un defonto e mandar il quattro avanti l’uno, preposterando l’ordine ai numeri e ai libri, e far esaminar testimoni che la fatica era fatta avanti l’anno di Melchisedecco. E la prova delle cose non vale con dir: — Questo è mio parto, ma il manoscritto era a Napoli in mano di uno che è morto; — Il cibaldone si è smarrito; — Il Sissa fece; — Il Vannetti disse; — Il conte Fortuniano non è conte; — Don Lorenzo Scotto non fece le allegorie; — Le sentenze di Marziale sono false. — Insomina questi fiscali della pontualitá, questi riformamondo, questi Copernici della poesia, che inchiodano il sole e fanno ballar la terra sopra la corda, a me punto non piacciono. Ma voi, compare, nascondete questa lettera, accioché i trascorsi della mia confidenza con voi non mi facciano trovar brighe, perché io protesto di non volerla con alcuna persona del mondo e molto meno con i gabellieri delle come e dei punti, mentre io onoro tutti e riverisco tutte le opinioni.

Intanto, se voi mi apparecchiaste un Lucrezio di buona stampa, dareste l’anima ad alcuni miei scritti, perché la prima con le prossime seguenti stanze dell’Adone, tanto vituperate, circa l’invocazione né pagana né cristiana, sono cavate con delicatezza esquisita dal principio del medesimo Lucrezio, se però la memoria non m’inganna.

Stazio, Apuleio, Luciano e quegli altri galantuomini dal buon secolo, che vi mostrai postillati, dormono da molti giorni in qua, né credo risvegliarli piú per adesso, perché infatti il fòro è un tiranno dell’ore e dell’arbitrio. Sarò a voi posdimani e parleremo con piú commodo. Mi raccomando all’amore e alla grazia di voi, a cui consacro tutto me stesso.

Di Padova [1627].