Pagina:Marino, Giambattista – Epistolario, Vol. II, 1912 – BEIC 1873537.djvu/109

il secolo fatto d’oro dalla inesausta perennitá del suo eminente ingegno.

Le sue lunghe e agitate peregrinazioni non hanno potuto interporre ostacolo tra la penna e la carta né impedimento tra i caratteri e le intenzioni. Ella, come Biante, ha sempre portato dentro a se medesima tutti i suoi beni: e la fortuna, incredula forse a quanto decantava la fama di V. S., ha voluto mandarle i disastri per far vedere il miracolo della prudenza in lei, che ha riformato i fulmini della sorte in istromenti della sua propria gloria; overo, si come il cane si serve del dente per offesa all’inimico e lo adopera anco accarezzando il padrone lievemente mordendolo per lusinga, cosi la fortuna con il morso de’ suoi sinistri ha voluto mostrare di esser serva anch’essa della virtú di V. S. e si è servita contro di lei degli aculei e dei denti piú per blandizia che per ingiuria. Ma come si sia, la superata fortuna è il piú illustre trofeo che onori il carro al trionfo della virtú: e si come gli usi, venerandi ancora dopo tanti anni, dell’antica e augusta Roma collocavano sopra il plaustro de’ trionfanti il piú mendico uomo che si trovasse e lo facevano sedere appresso il trionfatore; cosi l’invidia degl’ingegni falliti sará negli applausi di V. S. una mendica, tutto in augumento delle sue palme, e splenderanno piú appresso i carboni, i diamanti.

La Francia ha goduto lungamente le dimore di lei, la Italia ne ha sospirata la lontananza. Questa beata parte del mondo non doveva piú lungamente rimaner destituta dalla presenza di V. S.: bisognava che il corso del sole per il zodiaco facesse il suo naturale trappasso per queste case ancora; ma perché non si viene a Venezia, onde si vegga dopo il gaudio di tanti segni anco in leone il sole? Ma, non venendo Ella, mandi pure a suo nome le opere illustri della sua purgatissima penna o, per meglio dire, le Minerve uscite da quel celeste ingegno che tanto sa sopra tutti gli altri.

Parerá strana cosa a V. S. che un uomo ignoto a se stesso, come son io, si sia lasciato dalla licenza tant’oltre portare che abbia osato por bocca nelle lodi di lei. Ma io la supplico a compiacersi che ’l mio inchiostro onori se medesimo e che quest’arroganza, la quale si allontana certo di lunga mano dal vizio, mi conservi la tanto bramata amicizia di V. S., della quale fan tanta stima oggidí i re e i gran signori.

Io da quest’ora le fo libera rinuncia del mio cuore e del mio animo e me le costituisco parzialissimo; e se le mie scritture col