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3.Deh quante volte de le lievi rote,
che si volgon sí ratto intorno ai poli,
veduto ha con stupor restarsi immote
Giove l’immense e smisurate moli?
Quante vid’egli a le malvage note
le Lune in Ciel moltiplicarsi e i Soli?
scorrere i tuoni a suo dispetto e i lampi,
scotersi il mondo, e titubarne i campi?

4.Turbasi al suon de’ mormorati accenti
l’ordine de le cose, e si confonde.
Nettun senza procelle e senza venti
gonfio, i lidi del Ciel batte con Tonde.
Poi quando piú del mar fremon gli armenti
ritira il piè da le vicine sponde;
e ricurvando in sú Tumide fronti
tornan per l’erta i fiumi ai putrii fonti.

5.Ogni fera piú fera e piú rabbiosa
la sua rabbia addolcisce e disacerba.
Xon è Leone altier, Tigre orgogliosa
che non deponga allor Tira superba.
Vomita il fiel la Serpe velenosa,
e i livid’orbi suoi stende per l’erba;
e smembrata la Vipera e divisa
vive, e rintegra ogni sua parte incisa.

6.Ma com’è poi che i versi abbian potere
di separare i piú congiunti cori?
e ’l commercio reciproco e ’l piacere
santo impedir de’ maritali amori?
come, de l’alme il libero volere
anco scaldar d’involontari ardori?
ed agitar con empie fiamme insane
di maligno furor le menti umane?