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279.Ella, che ben conobbe esser negletta,
in quel grave martír vie piú s’afflisse,
e di sí acuta e si crudel saetta
ira amorosa il petto le trafisse,
che far de’ torti suoi giusta vendetta
deliberossi infuriata, e disse:
— Or con costui, ch’è d’ogni grazia indegno,
ciò che non può l’amor, faccia lo sdegno. —

280.Posto tu quella notte in ben agiata
camera Adon (ché tal sembrava) e ricca.
Porta non ha, che serri altrui l’entrata,
ma quand’uom v’entra poi, d’alto si spicca
e ’n guisa di craticola ferrata
con aguzzi spuntoni al suol si ficca,
e forma atra prigione, ov’introduce
ben angusto sportel torbida luce.

281.Qui come in gabbia augello, in rete pesce
preso rimane, o pur qual damma in laccio.
Ma Tesser prigionier men gli rincresce
che ritrovarsi ad altra donna in braccio.
Sa che ’n carcere entrando, almen pur esce
libero fuor di quel noioso impaccio.
— Ombre cieche — dicea —, tenebre orrende,
mal vostro grado un piú bel Sol mi splende.

282.Soffri in pace o mio cor nodi e legami,
soffri e vivi felice in fra le pene.
Qual altra luce in quest’orror piú brami,
che la memoria del tuo sommo bene?
Pur che la fé non rompa a chi tant’ami,
non si rompan piú mai ceppi e catene.
Ma catene maggior temer non devi,
quando quelle d’Amor ti son si lievi.