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275.Quest’ór, che fítte tanto ha le radici
ne’ petti umani, e che tu tanto estolli,
è se non servitú d’alme infelici?
miseria illustre, idolatria di folli?
Quei che ricchi son piú, son piú mendici,
quanto divoran piú, son men satolli.
Con fatica s’acquista, e con sudore:
rischio è il serbarlo, il perderlo dolore.

276.Giuro che di costei l’amor non sprezzo:
suoi tesori appo me son ombre e fumi.
Piú sua beltá, piú sua virtute apprezzo,
che ciò che dar mi ponno o monti, o fiumi.
Né qualunque torrei cosa di prezzo
piú ch’uno sguardo sol de’ suoi bei lumi.
Quant’òr portan da l’Indie o navi o some
non pagherebbe un fil de le sue chiome.

277.Uopo non fora di sospiri e pianti
a disporre il mio cor, s’ei fusse mio.
Mancheran forse a sí gran Donna amanti
d’altro pregio maggior che non son io?
Quanti sovrani fien Principi e quanti,
che porranno ogni studio, ogni desio
per ottener quel ben, che senza merto
vien sol per grazia a chi noi chiede offerto? —

278.Disse, e da lei fu replicato a questo,
e per piú vie con piú ragion l’assalse,
ma poi ch’alfin col suo parlar molesto
quell’alpestra mollir selce non valse,
di Falsirena il cor doglioso e mesto
a pascer venne di speranze false,
cercando in parte alleggerir gli ardori
de’ malgraditi e sconsolati amori.