Pagina:Marino, Giambattista – Adone, Vol. II, 1977 – BEIC 1871053.djvu/76


263.— Non tosto a’ primi colpi, a’ primi vènti —
diceale — antica rovere s’atterra.
Altri non mancheran mezi possenti
da far cader questa gran pianta a terra.
Lo stimulo de l’ór prima si tenti,
campion che vince ogni ostinata guerra.
Sai che questo è de l’uomo il sangue e l’alma,
e di petti piú forti ebbe la palma.

264.Non con tanto vigor dal Ciel trabocca
il fulmine, né fa tanto fracasso,
quanto fa l’ór quando s’aventa e scocca,
né cosa v’ha che gli rinchiuda il passo.
Abbatte ogni ripar, spiana ogni rocca,
rompe il legno, apre il ferro, e spezza il sasso.
Se pur alfin non gioveran quest’armi,
giovi la forza: il tutto ponno i carmi.

265.Da possanza internai senno terreno
come guardar, come schermir si potè?
Toglie a l’angue, al leon l’ira e ’l veleno
il mormorio de le tremende note.
Può de la terra e può del Ciel non meno
mover il centro ed arrestar le rote,
torcer le stelle, e sanguinosa e bruna
far giú dal cerchio suo scender la Luna. —

266.Partesi, e nel giardino Adone arriva,
che tra quelle verdure erme e riposte
al fresco del mattin si rivestiva
le spoglie che la notte avea deposte,
e seco de la femina lasciva
discorrea le lusinghe e le proposte.
Uscir quindi vorria, romper quel nodo:
ma non scorge il sentier, né trova il modo.