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395.Alzò la spada, ed un fendente tale
sovra le tempie a l’aversario trasse
che rotto al Gallo il rostro, e tronche l’ale,
fé’ che stordito al suol s’inginocchiasse.
Fu forse Amor, che per destin fatale
con fronte china e con ginocchia basse
l’Idol dal Cielo a’ suoi pensieri eletto
vòlse pur ch’adorasse a suo dispetto.

396.Non è da dir, poi ch’egli in sé rivenne,
con quanta rabbia e qual furor si mosse.
Dritto verso la testa il colpo tenne,
su la barbuta ad ambe man percosse.
A l’Aquila tagliò l’unghie e le penne,
spezzò del barbazzal le piastre grosse.
Squillò l’acciaio, e tal fu quella botta
che la spada di man gli cadde rotta.

397.Ruppe lo stocco, e gli rimase a pena
de l’else d’oro in man la guardia intera,
e ’l colpo usci di sí gagliarda lena
ch’ai nemico sbalzar fe’ la visiera.
Ma tolto il vel che ricopria la scena,
si scoverse il Guerriero esser Guerriera:
e con le bionde chiome a l’aura sparse
bella non men che bellicosa apparse.

398.Come rosa fanciulla e pargoletta,
che dal novo botton non esce ancora,
da la buccia, in cui sta chiusa e ristretta,
s’affaccia alquanto a vagheggiar l’Aurora;
cosí nel far di sé la Giovinetta
publica mostra de l’elmetto fora,
in quel vivo color si rinvermiglia,
che l’onestá da la vergogna piglia.