Pagina:Marino, Giambattista – Adone, Vol. II, 1977 – BEIC 1871053.djvu/727


391.Cosí dice il Dorato, e quel dal Gallo
— Fu sciagura — risponde — e non oltraggio.
Degno è di scusa involontario fallo,
né creder ch’io da te voglia vantaggio. —
Smonta con questo dir giú da cavallo
e trae la spada con egual coraggio.
Cosi fremendo di dispetto e d’onta
l’un l’altro a un tempo in mezo ’l campo affronta.

392.Gemon l’aure dintorno, e l’aria freme,
treman del vicin bosco antri e caverne.
Son di questo e di quel le forze estreme,
e chi n’abbia il miglior mal si discerne.
Lampeggiar vedi a prova i ferri insieme,
ed odi orrendi folgori cadérne.
Per traverso e per dritto, or bassi, or alti
tornan piú volte a rinovar gli assalti.

393.Sonar le spade e risonar gli scudi
fa de l’aspra tenzon l’alta ruina.
Par che battute da novelle incudi
escan l’armi pur or de la fucina.
Ardon lor le palpebre ai colpi crudi
gli elmi infocati, la cui tempra è fina,
e le fiammelle e le scintille ardenti
gli fan quasi invisibili a le genti.

394.Senza riposo alcun, senza dimora
or di taglio si tranno, ed or di punta.
In quella cote istessa, ove talora
l’acuto ferro si rintuzza e spunta,
ivi s’arrota, ivi s’irrita ancora
l’ira piú dal furor scaldata e punta.
Ed ecco alfin quel da l’aurato arnese
risoluto s’aventa a nove offese.

46