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283.Cavalca quei di placida andatura
destrier gentil, che ne l’andar paleggia.
Tranne il ciglio e ’l calcagno, in cui Natura
sparse alquanto di brun, tutto biancheggia,
e ’l Cigno intatto e la Colomba pura
ne la canicie del bel pel pareggia.
Sembra a l’andar, si vago è quel cavallo,
sposa in passeggio, o donzelletta in ballo.

284.Nacque di padre Trace e madre Armena
ne’ monti lá, dov’Aquilone alberga.
Nominossi Armellino, e l’ampia schiena
un profondo canal gli riga e verga.
Rimorde il morso, che con òr raffrena,
e si lascia con man palpar le terga.
Sbavan le labra, e con lasciva sferza
la lussuria del crin su ’l collo scherza.

285.Picca quest’altro un Barbaro veloce,
ch’egual quasi al pensiero il corso stende.
De lo spron, de la verga, e de la voce,
pria che senta il comando, il cenno intende.
Fierezza vaga e leggiadria feroce
umile al morso alteramente il rende.
Steril per arte, e meglio assai per questo,
fatto inabil marito, abile al resto.

286.Chiamasi il Turco, e de la furia lieve
diresti e che de l’impeto sia figlio,
lungo e sottil la gamba, asciutto e breve
il capo, alto la fronte, altero il ciglio.
Di tutto il corpo, ch’è di bianca neve,
l’estremo de la coda ha sol vermiglio.
Picchiato a schizzi, e di macchiette fosche
puntellato il mantel, come di mosche.