Pagina:Marino, Giambattista – Adone, Vol. II, 1977 – BEIC 1871053.djvu/622


415.Deh che farò? Per quanto almen mi lice,
io voglio al mondo pur con qualche segno
lasciar del nostro amor poco felice
grata memoria, ed onorato pegno.
S’agli altri Dei ciò far non si disdice,
s’altro mortai fu di tal grazia degno,
per qual cagion non potrò farlo anch’io!
o perché non l’avrá l’Idolo mio?

416.Farò dunque al mio ben l’istesso onore
che fece Apollo al suo fanciullo ucciso,
ché non fu certo il mio gentile ardore
di Giacinto men bel, né di Narciso.
E poi ch’ei fu d’ogni bellezza il fiore,
e di fiori ebbe adorno il seno e ’l viso,
e mi fu tolto in su l’etá fiorita,
vo’ che cangiato in fior ritorni in vita.

417.Tra i fiori, o fiore, il primo pregio avrai,
torrai lo scettro a la mia rosa ancora.
Vinti saran da te quanti giá mai
Glori in terra ne sparse, in Ciel l’Aurora.
Ornamento immortai de’ miei rosai,
perpetuo onor de la vezzosa Flora;
nova pompa del prato, e del terreno,
novo fregio al mio crine, ed al mio seno.

418.Farò sempre di piú, che d’anno in anno,
de la Parca malgrado e de la Sorte,
si rinovelli col mio duro affanno
la rimembranza di sí cruda morte;
e i miei devoti ad imitar verranno
con sollenne dolor piangendo forte,
come fec’io quando il mio ben perdei,
la trista pompa de’ lamenti miei.