Pagina:Marino, Giambattista – Adone, Vol. II, 1977 – BEIC 1871053.djvu/60


199.Or se non è piacer, se non è affanno,
dunque è vano furor, dunque è follia.
Folle non è chi teme il proprio danno;
ma che prò se noi fugge, anzi il desia?
Forse amor? non amor. S’io non m’inganno,
odio però non è: che dunque fia?
Che fía (misera) quel che ’l cor m’ingombra?
Certo è pensiero, o di pensiero un’ombra.

200.Ma se questo è pensier, deh perché penso?
Crudo pensier, perché pensar mi fai?
Perché, s’al proprio mal penso e ripenso,
tomo sempre a pensar ciò ch’io pensai?
Perché, mentre in pensar l’ore dispenso,
non penso almen di non pensar piú mai?
Penso, ma che poss’io? se penso, invero
la colpa non è mia, ma del pensiero.

201.Colpa mia fora ben s’amar pensassi:
amar però non penso, amar non bramo.
Ma non è pur come s’amar bramassi,
s’amar non penso, e penso a quel ch’io amo?
Non amo io no. Ma che saria s’amassi?
Io dir noi so; so ben, ch’io non disamo.
Non disamo, e non amo: ahi vaneggiante,
fuggo d’amar, non amo, e sono amante.

202.Amo, o non amo? Oimè, ch’Amor è foco,
che ’nfiamma e strugge, ed io tremando agghiaccio.
Non amo io dunque. Oimè, ch’a poco a poco
serpe la fiamma ond’io mi stempro e sfaccio.
Ahi ch’è foco, ahi ch’è ghiaccio, ahi che ’n un loco
stan, perch’io geli ed arda, il foco, e ’l ghiaccio.
Gran prodigi d’Amor, che può sovente
gelida far l’arsura, il gelo ardente.