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263.Che peggio far mi puoi? qual ria sventura
fu giá mai ch’agguagliasse il mio tormento?
Sí lungo tempo una procella dura
in un sí variabile elemento?
L’instabiltá del mar cangia natura,
perde per me sua leggerezza il vento.
Quel che non ebbe mai fermezza avante,
trovo sol per mio mal fatto costante.

264.Ahi quando fia che tanta rabbia cessi
sí ch’io per queste ingorde onde fallaci,
furtivo amante, a depredar m’appressi
de la mia Dea gli abbracciamenti e i baci?
Que’ baci, oimè, che far porian gl’istessi
Numi celesti divenir rapaci;
ben degni ch’altri per dubbiosa strada
di lá dal mare a conquistargli vada.

265.Barbaro Spirto, che di neve sparto
del gelato Gelone i monti agghiacci,
e qualor furiando esci de l’Arto
gonfi il mar, crolli il suolo, e ’l ciel minacci,
sola cagion perch’io di qua non parto,
soffio crudel, che dal mio ben mi scacci,
perché turbando questi ondosi regni
cosí cruccioso incontr’a me ti sdegni?

266.Ingrato invido Vento, or che faresti
s’Amor fusse al tuo core ignoto affetto?
Non negherai, ch’ancor che freddo, avesti
de la fiamma d’Atene acceso il petto.
Quando il bel foco tuo rapir volesti
chi turbò la tua gioia, e ’l tuo diletto?
chi tra le dolci allor prede amorose
per mezo l’aria al volo tuo s’oppose?