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167.Quivi in sí fiere e sí crucciose voci
sue querele spiegò languide e meste
e d’urli sí terribili e feroci
l’aure intronò, le piagge e le foreste,
che, se ben de’ duo mostri in fra le foci
fremea pien di procelle e di tempeste,
giacer parve senz’onda il mar immoto
e tacer Euro, ed Aquilone, e Noto.

168.Fér tenore e risposta a’ suoi lamenti
le spelonche vicine e ’l mar istesso.
Gemer Gufi s’udír, fischiar Serpenti,
Lupi ulular per que’ vallon da presso.
Corser le Ninfe a que’ dogliosi accenti,
Nettuno il genitor vi corse anch’esso,
e ne piansero in suon flebile e rauco
Tritone, e Trotheo, c Melicerta, e Glauco.

169.«Va’ pur >> dicea «va’ dormi occhio dolente
tu, cui tanto è il dormir caro e soave,
e fra straniera e traditrice gente
fa’ pur il sonno tuo profondo e grave.
Va’ dormi va’, ma intanto ampio torrente
d’infruttuose lagrime ti lave.
Occhio sciocco, occhio pigro, occhio gravoso,
come t’ha concio il tuo mortai riposo!

170.Quando piú ne l’inganno e nel periglio
sguardo devevi aver d’Aquila e d’Argo,
allor men cauto il sonnacchioso ciglio
sparger ti piacque d’infernal letargo.
Va’ dormi va’, ma intanto egro e vermiglio
versa di sangue un rio tepido e largo,
e questa fosca tua vòta caverna
chiudi in sonno perpetuo, in notte eterna.