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23.— S’è vero — egli dicea — che nel tormento
spesso è gran refrigerio aver compagni,
ascolta i casi miei, ch’ogni momento
pianger dev’rei vie piú che tu non piagni.
Forse se la cagion del mio lamento
vuoi contraporre a quella onde ti lagni,
veggendo che ’l mio mal fu maggior tanto,
darai pace al dolore, o tregua al pianto.

24.Lasso, qual uomo in terra, in Ciel qual Dio
fu mai di me piú sventurato amante?
Di Dafni non dirò, che non morio,
ma vive ancor tra le mie sacre piante.
Né parlerò di Ciparisso mio,
che vòlse per follia morirmi avante.
Conterò solo il mal da me commesso,
ch’omicida crudel fui di me stesso.

25.Io stesso (ahi quale allor sospinse e mosse
la sciocca destra mia sinistra sorte?)
con questa man, che l’Idol mio percosse,
fui ministro d’un scempio orrendo e forte.
E ben ch’errore involontario fosse,
e senza colpa il colpo ond’ebbe morte,
tanto fu di pietá piú degno il caso
ch’addusse a la mia luce eterno Occaso.

26.Una volta dal Ciel, mentre la quarta
rota girando in giú lo sguardo affiso,
tra i verdi colli de l’antica Sparta
veggio un fanciullo in su l’erbetta assiso.
Scultore in marmo, over Pittore in carta
di formar non si vanti un si bel viso.
S’avesse la Beltá corpo mortale,
credo che la Beltá sarebbe tale.