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159.Poi ch’a tai detti lo scaglioso manto
gli copri d’ognintorno il tergo e ’l seno,
rimase, astretto da perpetuo incanto,
a guardar questo guado ond’io ti meno. —
Disse, e de l’antro Adone uscito intanto,
giunse in paese oltre gli ameni ameno,
e trovò piú ridente e piú giocondo
novo Ciel, nova terra, e novo mondo.

160.Ghirlandato di pergole costrutte
di viti e d’uve un gran Giardin s’inquadra.
Quattro vie dritte a dritto fil condutte
con trecciere di cedri in doppia squadra,
vanno un sferico spazio a ferir tutte,
e di se stesse a far croce leggiadra.
Ai seggi, che coronano il bel cerchio,
fa vago padiglion verde coverchio.

161.In mezzo a questo spazio, e sotto questa
cupula ombrosa, che di fronde è densa,
dodici Grifi d’or reggono in testa
di cristallo di rocca un’urna immensa,
che ’n larga pioggia a guisa di tempesta
Tacque a la conca inferior dispensa.
D’alabastro è la conca, e forma un stagno
che de la bella Fata è fonte e bagno.

162.Quel fonte è il centro, onde la linea piglia
ciascuna de le vie che dianzi ho detto,
tal che la vista è bella a meraviglia
e scopre di lontan qualunque oggetto.
Circonda il bel Giardin ben quattro miglia,
e ’n ciascun capo è un bel Palagio eretto,
e i Palagi non son di rozi sassi,
ma tutti di diaspri e di baiassi.