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127.Giá veder che l’assaglia e che l’uccida
il mostro formidabile, m’aviso.
Da sacrilego dente ed omicida
véggiogli il corpo rotto, il fianco inciso.
Odo giá le querele, odo le strida,
veggio squarciato il tuo bel crine, e ’l viso.
Il veggio, o bella; al vaticinio credi.
Se non ami il tuo danno, indietro riedi. —

128.Antivedendo il suo vicin tormento,
Protheo con questo dir Ciprigna assalse.
Ella ascoltollo, ancor che l’onda e ’l vento
fér che ’l tutto distinto udir non valse.
Egli il ceruleo suo spumoso armento
sferzato allor per le campagne salse,
doglioso in atto sospirando tacque,
e lievemente s’attuffò ne Tacque.

129.Restò d’alto stupor pallida e muta,
e per le vene un freddo gel le corse,
Venere bella, e con puntura acuta
tarlo di novo dubbio il cor le morse;
onde tra’ suoi sospetti irrisoluta
fu d’indietro tornar piú volte in forse,
dal timor, dal dolor confusa tanto
che non sapea se non disfarsi in pianto.

130.Il gran tenor de le parole intese
fu saetta mortai che la trafisse,
tal che Triton ben vide e ben comprese
la cagion di quel duol, che sí l’afflisse.
Quindi il corso tra via lento sospese,
e ’n pietos’atto a lei si volse, e disse:
— Deh qual cura noiosa or la tua luce
conturba si, ch’a lagrimar t’induce?