Pagina:Marino, Giambattista – Adone, Vol. II, 1977 – BEIC 1871053.djvu/406


23.Ed egli a lei: — Non so perché si lagni
chi procaccia a se stessa il suo tormento.
Per qual cagion da me ti discompagni,
se ’l non farlo è in balía del tuo talento?
Quel duro cor, che mentre parli e piagni
forma si mesto e querulo lamento,
sí come s’ammollisce a lagrimarmi,
non potrebbe ammollirsi a non lasciarmi?

24.A che mostrarti afflitta e lagrimosa?
Non piú pianger omai, che ’l pianto è vano.
Non sente passi’on molto penosa,
né molto il senso e l’intelletto ha sano,
chiunque piagne per dolor di cosa
il cui rimedio è del suo arbitrio in mano.
Perdona o Dea, se troppo ardir mi prendo,
e se per troppo amor forse t’offendo. —

25.Ed ella: — Adon, s’egli mi piace o dole
cangiando nido e variando loco
l’allontanarmi dal mio vivo Sole,
quantunque io sappia ben, che fia per poco,
comprenderlo ben puoi da le parole
che dal centro del cor m’escon di foco.
Chiedilo (se noi credi) a questi lumi,
giá ricetti di fiamme, or fatti fiumi.

26.Ma che poss’io, se mi rapisce e move
violenza fatai di legge eterna?
Decreto incontrastabile di Giove
regge il mio moto, e ’l mio voler governa.
Piacesse al Ciel, che per non girne dove
oggi m’obliga a gir forza superna,
stesse ne la mia man questa partita,
sí come ne la tua sta la mia vita. —