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235.Ouant’òr tra le lucenti e bionde arene
volge in India, in Hiberia il Gange, il Tago,
quanto n’accoglie Scithia entro le vene,
quanto Mida ne fe’ cupido e vago,
non mi torrá di braccio unqua al mio bene,
si di modesto aver l’animo appago.
Rapir non mi potrá tanto tesoro
giá mai fame d’onor, né sete d’oro.

236.Pur voler mi convien ciò ch’a te piace
moderatrice d’ogni mio pensiero.
Guardimi il Ciel, ch’io di disdirti audace
ti neghi nel mio cor libero impero. —
Cosi favella, e la ribacia, e tace
il faneiul lusingato e lusinghiero,
e s’apparecchia in su la prima uscita
del mattutino raggio a la partita.

237.Fornito intanto il suo camin ritondo,
Febo nel mar d’Hesperia il carro immerse.
Sorse fosca la Notte, e ’l pigro mondo
sotto l’ali pacifiche coverse.
Chiuse sonno tranquillo, oblio profondo
miU’occhi in terra, e mille in Ciel n’aperse.
Forse fur di que’ duo le luci belle,
che spento il Sole, illuminár le stelle.