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195.— Se valesse il tuo dir — disse il fanciullo —
cadrebbe anco in Adon simil difetto.
Anch’egli a lei donossi, e per trastullo
di non esser piú suo talvolta ha detto. —
— Dunque — replicò quegli — il gioco è nullo:
mancando la cagion, manca l’effetto.
Altri quel che non ha giocar non potè,
né si gioca giá mai con le man vote. —

196.Aprendo allora il bell’Adon le labbia
disse rivolto al nunzio degli Dei:
— A che garrir tra voi con tanta rabbia?
Non oggi è il primo dí ch’io mi perdei.
Perduto ho io, ma quando ancor vint’abbia,
10 la vittoria mia cedo a costei.
D’un tal perder mi glorio e non m’attristo,
ché la perdita mia può dirsi acquisto. —

197.— Or facciam — disse Amor — che vano in tutto
fusse il gioco tra lor, come tu vuoi.
Vano non fía però, né senza frutto
11 gioco che di fuor seguí tra noi.
Di fuor giocammo, ed ha ciascuno addutto
un pegno proprio degli arnesi suoi.
Il nostro è nostro, e qui né tu, né io
dir possiam ch’io sia tuo, che tu sia mio. —

198.E l’altro: — È forza, poi che insieme vanno,
se cessa il principal, che ’l minor cessi.
Ha vinto Adon, se ben con qualche inganno,
onde dir non si può ch’io non vincessi.
S’altri v’ebbe la colpa, abbiane il danno:
la rete è mia, tai furo i patti espressi.
Sempre il vincere è bel, sempre si loda,
o per sorte si vinca, over per froda. —