Pagina:Marino, Giambattista – Adone, Vol. II, 1977 – BEIC 1871053.djvu/268


15.Ma vie piú ch’altri Adon, possente e fiero
sente l’ardor ch’a vaneggiar l’induce;
e mentr’è il cielo ancor candido e nero
tra i confini de l’ombra e de la luce,
tenendo a l’Idol suo fiso il pensiero,
volge l’occhio a colui che ’l dí conduce,
e quasi in specchio, con lo sguardo vago
raffigura nel Sol l’amata imago.

16.Quindi dal duolo ad or ad or spezzati
incomincia a sgroppar flebili accenti,
né de’ caldi sospiri innamorati
gli escon del cor con minor forza i venti
che del mantice uscir sogliano i fiati
a dar vigore a le fornaci ardenti,
anzi par che sfogando i suoi gran mali,
l’anima istessa co’ sospiri essali.

17.— Ahi che mi vai — dicea — che ’l mondo infiori
la bella Primogenita de l’anno?
o che spuntin dal Cielo i lieti albori,
se per me non rinasce altro ch’affanno?
Ridano i prati, e cantino i pastori,
me di lagrime pasce un fier Tiranno.
E fan Verno perpetuo i miei tormenti
d’amare piogge, e d’angosciosi venti.

18.Il Sol, che porta a’ miei trist’occhi il giorno,
non è giá questo, che levarsi or veggio,
se ben nel volto suo di luce adorno
d’altra luce maggior l’ombra vagheggio.
Parta, o partito poi faccia ritorno,
ben altro lume a le mie notti io cheggio.
Chi crederia, che piú lucente e bella
m’è de l’Alba e del Sol sol una stella?