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403.Poscia ch’alfíne il Giudice s’avede
ch’egli il degno castigo ha prevenuto,
e che ’nvan piú l’afflige, invano il fiede,
ché lo spirito e ’l senso ha giá perduto,
dagli altri duo la veritá richiede,
che tornano a ridir quel c’ha saputo.
Ma rei d’altri delitti e malefici,
son pur dannati agli ultimi supplici.

404.Mentre costoro la funesta tromba
a la croce accompagna, ed a la fune,
vassi con pompa a la selvaggia tomba,
albergo a duo cadaveri commune.
Di voci il bosco e fremiti rimbomba,
piagne ciascun l’indegne lor fortune;
e con essequie illustri ed onorate
trasferiscon que’ corpi a la cittate.

405.Libero a pena Adon, per mano il piglia
Mercurio, e seco il trae fuor de le mura,
e ’n parlar che ’l consola, e che ’l consiglia,
gli dá di presto ben speme secura.
Ragionando cosí, non va due miglia
che giunge ove piú densa è la verdura.
Qui gli mostra il camin che vuol ch’ei segua,
e ciò detto sparisce, e si dilegua.

406.Molto innanzi ei non va, che ’l piede infermo
s’indebolisce a poco a poco, e stanca,
e per quel bosco abbandonato ed ermo
al vigor giovenil la forza manca.
Apre il guscio dorato, il qual gli è schermo
contro la fame, e sua virtú rinfranca.
La stanchezza e ’l digiuno in un restaura,
poi s’addormenta al sussurar de l’aura.