Pagina:Marino, Giambattista – Adone, Vol. II, 1977 – BEIC 1871053.djvu/227


E cosí detto, al suol Tumide ciglia
china alquanto, e s’arresta, e pensa, e tace,
poi le leva, e l’asciuga, indi ripiglia:

«Che far poss’io, s’Amor mi sforza e sface?
È Pastor: siasi pur: qual meraviglia,
se Pastore e Bifolco anco mi piace?

Amaro ancora in rustica fortuna
Venere Anchise, Endimion la Luna.

Come valor non sia, né vero pregio,
se di porpora e d’oro altri noi segna,
o come altrui non sia tesoro e fregio
virtú, per cui si signoreggia e regna!

Spesso alberga umil servo animo regio,
chiude Principe eccelso anima indegna.
Perché piacer non dee nobil sembianza,
s’oltre l’ufficio il merito s’avanza?

Guidar gli armenti a piú vii gente or lassi,
ché quantunque l’adombri ignobil veste,
maestá mostran gli atti, i guardi, i passi
degna piú di cittá, che di foreste.

La verga imperiai meglio confassi
che la selvaggia, a quella man celeste.
Corona a quel bel crin, ch’amo ed adoro,
come l’ha di beltá, conviensi d’oro.

Pastor gentil, non dee chi frena e regge
personaggio reai, qual io mi sono,
trattar gli aratri, e governar le gregge,
ma stringer scettro, e comandare in trono.
Se puoi tu solo a’ miei pensier dar legge,
il regno accetta e la Reina in dono;
e s’aversa Fortuna a ciò contrasta,
quel che possiedi in questo cor ti basta.