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151.Non la bombarda, eccesso de’ tormenti,
non il monton cozzante e furibondo,
non il furor de’ piú crucciosi vènti,
non il fragor de l’Ocean profondo,
non il fulmin terror degli elementi,
non il tremoto scotitor del mondo,
non d’Etna o d’Ischia il fremito e ’l fracasso
si pareggi al romor che fe’ quel sasso.

152.Cadde, e con tal subbisso in giú portollo
il grave peso de le membra vaste,
che fiaccandosi in pezzi il capo e ’l collo.
Tossa tutte lasciò lacere e guaste.
Ditelo voi, se vi crollaste al crollo
selve, e voi fere se ’l covil lasciaste,
se lasciaste per tema augelli il nido
al suon de la caduta, al tuon del grido.

153.Parve tuono il suo grido, e parve telo,
e con strepito tal l’aure percosse,
che sparso il cor di timoroso gelo
dal suo gran seggio il gran Motor si mosse,
temendo pur, non da la terra il Cielo
fuor d’ogni usanza fulminato fosse.
Tremaro i poli a l’impeto soverchio,
né stette saldo il sempr’immobil cerchio.

154.Ed ecco alfine il fin (prendete essempio
temerari superbi) a cui soggiace
l’alterigia mortai, che giusto scempio
dal Ciel aspetta, e l’insolenza audace.
Cadde, e caduto ancor, mostrò quest’empio
segni d’ira arrogante e pertinace.
Con atti di furor, non di cordoglio
minacciando spirò l’ultimo orgoglio.