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canto primo 59


11.Amor pur dianzi, il fanciullin crudele,
Giove di nova fiamma acceso avea.
Arse di sdegno, e ’l cor d’amaro fiele
sparsa, gelò la sua gelosa Dea,
e ’ncontro a lui con flebili querele
richiamossi del torto a Citherea:
onde il Garzon sovra l’etade astuto
da la materna man pianse battuto.

12.— Oimè, possibil fia — dicea Ciprigna —
ch’io mai per te di pace ora non abbia?
Qual Cerasta più livida e maligna
nutre del Nilo la deserta sabbia?
qual Furia insana, o qual Arpia sanguigna
là negli antri di Stige ha tanta rabbia?
Dimmi, quel tosco, ond’ogni core appesti,
Aspe di Paradiso, onde traesti?

13.Vuoi tu più mai contaminar di Giuno
le leggittime gioie e i casti amori?
udrò di te mai più richiamo alcuno,
ministro di follie, fabro d’errori?
sollecito avoltor, verme importuno,
morbo de’ sensi, ebrïetà de’ cori,
di fraude nato e di furor nutrito,
omicida del senno, empio appetito?

14.Ira mi vien di romperti que’ lacci
e quell’arco che fa piaghe sì grandi,
né so chi mi ritien, ch’or or non stracci
quante reti malvage ordisci e spandi,
che per sempre dal Ciel non ti discacci,
che ’n essilio perpetuo io non ti mandi
su i gioghi ircani, e tra le caspie selve,
Arcier villano, a saëttar le belve.