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canto primo 57


3.Dettami tu del Giovinetto amato
le venture e le glorie alte e superbe:
qual teco in prima visse, indi qual fato
l’estinse e tinse del suo sangue l’erbe.
E tu m’insegna del tuo cor piagato
a dir le pene dolcemente acerbe,
e le dolci querele, e ’l dolce pianto:
e tu de’ Cigni tuoi m’impetra il canto.

4.Ma mentr’io tento pur, Diva cortese,
d’ordir testura ingiurïosa agli anni,
prendendo a dir del foco che t’accese
i pria sì grati, e poi sì gravi affanni;
Amor con grazie almen pari a l’offese
lievi mi presti a sì gran volo i vanni:
e con la face sua (s’io ne son degno)
dia quant’arsura al cor, luce a l’ingegno.

5.E te, ch’Adone istesso, o gran Luigi,
di beltà vinci, e di splendore abbagli,
e seguendo ancor tenero i vestigi
del morto Genitor, quasi l’agguagli;
per cui suda Vulcano; a cui Parigi
convien che palme colga, e statue intagli;
prego intanto m’ascolti: e sostien’ ch’io
intrecci il Giglio tuo col lauro mio.

6.Se movo ad agguagliar l’alto concetto
la penna, che per sé tanto non sale,
facciol per ottener dal gran suggetto,
col favor che mi regge, ed aure, ed ale.
Privo di queste, il debile intelletto,
ch’al Ciel degli onor tuoi volar non vale,
teme a l’ardor di sì lucente sfera
stemprar l’audace e temeraria cera.