Pagina:Marino, Giambattista – Adone, Vol. I, 1975 – BEIC 1869702.djvu/522


143.Fior, che del sangue mio superbo vai.
Fior, pupilla d’Amor, tesor di Maggio,
tu de’ prati di Pindo onor sarai,
né dèi d’ombra o di Sol temere oltraggio.
Quella, ch’onora il Ciel Romano, e mai
non tuffa in torbid’onda il chiaro raggio,
de’ fregi tuoi, non piú di stelle inteste
porterá le ghirlande, Orsa celeste.

144.Ecco del gran Tonante, ecco poi nero
un altro egregio imperiale augello.
Del Doria, a cui di Dori il salso impero
destinato è dal Ciel, lo scudo è quello.
Fido ministro del gran Giove Ibero
arderá, ferirá lo stuol rubello,
sí come tu con tuoi pungenti sguardi
i ritrosi d’Amor ferisci ed ardi.

145.Non ha questo a vibrar del Cielo in terra
il tripartito folgore vermiglio,
ma de l’altro internai, che ’n nova guerra
ha temprato di bronzo, armar l’artiglio.
Quanto il lembo del mar circonda e serra
tremerá tutto, e correrá periglio.
Solo il verde arboscel, non che ferito,
ha difeso da questo, e custodito.

146.De la progenie ch’io ti conto e mostro
Aquila peregrina alzerá ’l volo,
che ’mporporata del piú lucid’ostro
le brune penne, andrá da polo a polo.
Progenie degna di famoso inchiostro,
del mondo onor, non di Liguria solo,
degna piú ch’altra assai del favor mio,
che dará legge al mar, dove nacqu’io.