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CANTO NONO

Tua sará, se l’accetti; e se ti piace
deporre alquanto il dispietato orgoglio,
del tuo vivaio entro rumor vivace
io di mia mano imprigionar la voglio.

Oh di quest’animal vie piú fugace,
piú dura al mio pregar di questo scoglio.

Vienne a temprar deh Vienne un doppio ardore,
e se ’l pesce non vuoi, prenditi il core. —

Chiede a Venere Adon, chi sia colui,
che sí ben col cantar l’aure lusinga.

— È de’ nostri — risponde —, Amor di lui
non avrá mai chi piú fort’arda o stringa.

Fileno ha nome, e da l’insidie altrui

è qui giunto a menar vita solinga.

Nacque colá ne la felice terra

che la morta Sirena in grembo serra.

Ma se ti cal piú oltre intender forse
di sue fortune, andianne ov’egli stassi. —

Cosí sen giro, ed ei quando s’accorse
vèr lui drizzar la bella coppia i passi,
di cotanta beltá stupido sorse
per reverirla, da que’ rozi sassi;
ma con man gli accennò l’amica Dea
che di lá non partisse, ove sedea.

— Per romper — dice — o per turbar non vegno
i tuoi dolci riposi, o i bei lavori.

Sai ben, che quando del mio patrio regno
prendesti in prima a celebrar gli onori,
io diedi forza al tuo affannato ingegno,
svegliandolo a cantar teneri amori;
onde il nome immortale ancor per tutto
serban di Lilla tua l’arena e ’l flutto.