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91.Un lampo è la beltá, l’etate un’ombra,
né sa fermar l’irreparabil fuga.
Tosto le pompe di Xatura ingombra
invida piuma, ingiuriosa ruga.
Rapido il Tempo si dilegua e sgombra,
cangia il pel, gli occhi oscura, il sangue asciuga.
Amor non men di lui veloci ha i vanni,
fugge co’ fior del volto il fior degli anni.

92.De’ lieti di la Primavera è breve,
né si racquista mai gioia perduta.
Vien dopo ’l verde con piè tardo e greve
la Penitenza squallida e canuta.
Dove spuntava il fior, fiocca la neve,
e colori e pensier trasforma e muta,
sí ch’uom freddo in Amor quelle pruine,
ch’ebbe dianzi nel core, ha poi nel crine.

93.Saggio colui, ch’entro un bel seno accolto
gode il frutto del ben che gli è concesso.
Ed oh stolto quel cor, né men che stolto
crudo, né men ch’altrui, crudo a se stesso,
cui quel piacer per propria colpa è tolto,
che vien sí raro, e si desia sí spesso.
Anima in cui d’Amor cura non regna,
o che non vive, o ch’è di vita indegna. —

94.Cigno che canti, Rossignuol che plori,
Musa o Sirena che d’Amor sospiri,
aura o ruscel che mormori tra’ fiori,
Angel che mova il plettro, o Ciel che giri,
non di tanta dolcezza innebria i cori,
lega i sensi talor, pasce i desiri,
con quanta la mirabile armonia
per l’orecchie al Garzone il cor feria.