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LA TRAGEDIA

Ferve d’insana ed arrabbiata voglia
di Tartaree fiammelle Atide acceso,
spuma, freme, il piè scalza, il manto spoglia,
sí lo strugge il velen che ’l cor gli ha preso.
La feconda radice ond’uom germoglia,
e l’un e l’altro suo pendente peso,
rei del suo mal, da gran furore indutto,
miseri, di propria man si tronca in tutto.

Testimonio pietoso al caso tristo
fu di Sinade allora il vicin colle,
che d’ognintorno rosseggiar fu visto
del sangue del Garzon rabbioso e folle.

Del sangue bel, che con la rupe misto
tutto il sasso lasciò macchiato e molle,
onde Frigia dipinti ancor ritiene
i marmi suoi di preziose vene.

Per trarsi poscia a precipizio, ascende
ripida cima d’aspro monte alpino;
ma mentre in giú trabocca, e in aria pende
co’ piedi in alto, e con la fronte al chino,
la Dea, che l’ama ancor, pietosa il prende,
l’affige in terra, e lo trasforma in pino.

Fd or da quel di pria cangiato tanto
in tenace licor distilla il pianto. —

Con queste fole e favolette avea
del sommo Giove il messaggier sagace
persuaso il Garzon; né qui ponea
freno al garrir, novellator loquace.

Ma troncando il cianciar, stese la Dea
la man di neve al foco suo vivace;
e parve il cor con un sospiro aprisse,
mentre queste parole ella gli disse: