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292 la tragedia


55.Erra il giorno con lui, la sera riede
là ’ve d’erbe e di fior letto l’accoglie.
Spesso in braccio gli corre, in grembo siede,
e prende di sua mano or acque, or foglie.
Orgoglioso ei ne va, che lo possiede,
umil l’altro ubbidisce a le sue voglie,
e con serico fren pronto e leggiero
si lascia maneggiar, come un destriero.

56.Era nel tempo de le bionde spiche,
quando il Pianeta fervido di Delo
i raggi a piombo in su le piagge apriche
non vibra no, ma fulmina dal cielo.
Il bel Garzon fra molte querce antiche,
che tessean di folt’ombra un verde velo,
dopo lungo cacciar stanco ne venne,
e ’l domestico suo dietro gli tenne.

57.Or mentre il Cervo pasce, ed egli porge
riposo ai membri in mezo a la foresta,
erger vago Fagian non lunge scorge
fuor d’una macchia la purpurea testa.
Prende l’arco pian pian, da l’erba sorge,
e ’l miglior stral de la faretra appresta.
Tende prima la corda, indi l’allenta,
e la canna ferrata innanzi aventa.

58.Dove l’Arcier l’invia, lo stral protervo,
ma dov’ei non vorrebbe, i vanni affretta.
Dopo quel cespo il suo diletto Cervo
erasi posto a ruminar l’erbetta.
Onde scagliato dal possente nervo,
il fianco inerme al misero saetta.
Pènsati tu, s’a la mortal ferita
cade, e ’n vermiglio umor versa la vita!