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242 la novelletta


167.Da me spiccata, amaramente al suolo
ululando e piangendo ella si stese.
Io mi volsi a que’ pianti, e del suo duolo
in mezo a l’ira la pietà mi prese.
Onde l’ali arrestai, fermando il volo,
a sì tristo spettacolo sospese,
e mi posi a mirarla intento e fiso
d’un cipresso vicin tra i rami assiso.

168.«Ingrata» a dirle indi proruppi «ingrata,
sì tosto in Lethe un tanto ardore è spento?
così da la memoria smemorata
l’aviso mio ti cadde in un momento?
quest’è l’amor? quest’è la fé giurata?
dunque tu paglia al foco, io foco al vento?
tu dunque onda a lo scoglio, io scoglio a l’onda?
io stabil tronco, e tu volubil fronda?

169.Io de la madre mia posto in non cale
l’ordin, cui convenia pur ch’ubbidissi,
quando d’ogni sventura e d’ogni male
sepelir ti volea sotto gli abissi,
il cor per tua cagion col proprio strale
inavedutamente mi trafissi.
Per te trafitto, e per tuo bene ascoso
volsi ad onta del Ciel farmiti sposo:

170.e tu sleal, pur come fusse poco
d’invisibil ferita il cor piagarmi,
volesti me, ch’era tua gioia e gioco,
quasi Serpe crudel, ferir con l’armi!
E non contenta d’amoroso foco
co’ tuoi begli occhi l’anima infiammarmi,
hai voluto con arte empia e malvagia
ardermi ancora il corpo in viva bragia.