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canto quarto 235


139.Quando del cupo suo nativo bosco
da la fame ad uscir per forza è spinto,
d’un verde bruno e d’un ceruleo fosco
mostra l’ali fregiate, e ’l dorso tinto.
Squallido d’oro, e turgido di tosco
di macchie il collo a più ragion dipinto,
scopre di quanti al Sol vari colori
l’arco suo rugiadoso Iride infiori.

140.Ahi che figura abominanda e sozza,
se talor per lo pian stende le strisce,
e poi che vomitata ha da la strozza
carne di gente uccisa, ei la lambisce;
o se del sangue, che mai sempre ingozza,
avien che ’l tergo e ’l petto al Sol si lisce!
il tergo e ’l petto, armato a piastre e maglie
di doppie conche, e di minute scaglie.

141.Livido foco, che le selve appuzza,
spira la gola, ed aliti nocenti.
Vibra tre lingue, e ne le fauci aguzza
un tripartito pettine di denti.
Sanguigne schiume da la bocca spruzza,
ed ammorba co’ fiati gli elementi;
l’aure corrompe, mentre l’aria lecca,
strugge i fior, l’erbe uccide, e i campi secca.

142.Guarditi (o suora) il Ciel da la sua stizza,
scampiti Giove pur da quella peste,
qualor per ira si contorce e guizza
e sbarra le voragini funeste,
la superba cervice in alto drizza,
erge del capo le spietate creste,
e ribattendo le sonore squamme,
Mongibello animato, aventa fiamme!