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canto quarto 227


107.Taccio, ed ella ascoltando i miei ricordi,
promette d’osservar quanto desio.
«Di me stessa» dicea «fia che mi scordi
pria che gli ordini tuoi ponga in oblio.
A’ tuoi fian sempre i miei desir concordi,
tu se’ (qualunque sei) lo spirto mio.
Àbbine di mia fé pegno securo,
per me, per te, per Giove stesso il giuro».

108.Già dando volta al bel timon dorato,
e de’ monti indorando omai le cime,
il carro di Lucifero rosato
da le nubi vermiglie il giorno esprime;
quando a quel dir svanitole da lato,
volo per l’aure, e fo portar sublime
l’indegna coppia innanzi a la mia vita
dal bel Signor de la stagion fiorita.

109.Le ’ncontra, e bacia, e ’n dolci atti amorosi
fa lor liete accoglienze, ossequii cari.
Le ’ntroduce a la Reggia, ov’entro ascosi
servon senza scoprirsi i famigliari.
Tra ricchi arnesi e tra tesor pomposi
trovan cibi e lavacri eletti e rari,
sì ch’elle a tanto cumulo di bene
già nutriscon l’invidia entro le vene.

110.Le dimandan chi sia di cose tante
signor, di che fattezze il suo diletto.
Ella fin a quel punto ancor costante
non obliando il marital precetto,
s’infinge, e dice: «Il mio gradito amante
è più ch’altro leggiadro un giovinetto;
ma l’avete a scusar, ch’agli occhi vostri,
occupato a le cacce, or non si mostri».