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canto quarto 221


83.Poi che ’l dolor, che de’ suoi sensi è donno,
satollato ha di pianti e di lamenti,
stanca omai sì, che le palpebre ponno
a pena sostener gli occhi cadenti;
viensene il sonno a tòrla in braccio, il sonno,
tranquillità de le turbate menti.
Dal sonno presa al fremito de l’acque
su ’l verde smalto addormentossi e giacque.

84.Negli epicicli lor duo Soli ascosi
i begli occhi parean de la mia Psiche,
dove chiusi traean dolci riposi
da l’amorose lor lunghe fatiche.
Duo padiglioni lievemente ombrosi
le velavan le luci alme e pudiche.
Le belle luci, onde languisco e moro,
legate eran dal sonno, e io da loro.

83.Vedesti a la stagion quando le spine
fíoriscon tutte di novella prole,
sparso di fresche perle e mattutine,
piantato in riva al mar, nascosto al Sole,
spiegar il molle e giovinetto crine
giardinetto di gigli e di vïole?
Dirai ben tal sembianza assai conforme
a la leggiadra Vergine che dorme.

86.Così posava, e vidi a un tempo istesso
liev’aura, aura vezzosa, aura gentile
scherzarle intorno, e ventilarle spesso
il crespo de la chioma oro sottile.
Per baciarla talor si facea presso
a quella bocca, ov’è perpetuo Aprile;
ma timidetta poi, quanto lasciva,
da’ respiri respinta, ella fuggiva.