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218 la novelletta


71.Con le man su ’l ginocchio, in terra assisa,
filando argento da’ begli occhi fore,
china al petto la fronte, e ’n cotal guisa
tra se stessa consuma il suo dolore.
Poi, mentre ai salsi flutti il guardo affisa,
sfoga parlando l’angoscioso core,
e perde, apostrofando al mar crudele,
tra gli strepiti suoi queste querele:

72.«Deh placa, o Mare, i tuoi furori alquanto,
pietoso ascoltator de’ miei cordogli,
e di quest’occhi il tributario pianto,
che ’n larga vena a te sen corre, accogli.
Teco parlo, or tu m’odi, e fa’ che ’ntanto
abbian quest’onde tregua, e questi scogli;
né sen portino in tutto invidi i venti,
come fér le speranze, anco i lamenti.

73.Nacqui agli scettri, e ’n su i reali scanni
più di me fortunata altra non visse.
Bella fui detta, e ’l fui, se senza inganni
lo mio specchio fedele il ver mi disse.
Or a quel fin su ’l verdeggiar degli anni
corro, che ’l fato al viver mio prescrisse,
abbandonando in su l’età fiorita
la bella luce, e la serena vita.

74.Di ciò non mi dogl’io, né mi lamento
de la bugiarda adulatrice speme;
né del colpo fatal prendo spavento,
che mi porti sì tosto a l’ore estreme.
Chi sol vive al dolore ed al tormento,
e suol vita aborrir, morte non teme;
a chi mal vive il viver troppo è greve,
chi vive in odio al Ciel viver non deve.