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canto quarto 217


67.Ecco l’infausto monte, ov’a fermarsi
ne venne il funeral tragico e mesto.
Quivi ha (quant’ognun crede) a consumarsi
il maritaggio orribile e funesto.
Ond’ai fieri imenei da celebrarsi
scelto già per teatro essendo questo,
dopo lagrime molte al vento sparte
la mestissima turba alfin si parte.

68.Partissi alfin, poi che tesor sì caro
depositò nel destinato loco,
lasciando nel partir col pianto amaro
de le fiaccole sacre estinto il foco.
Ai regii alberghi i genitor tornaro,
e la luce vital curando poco,
dannaro gli occhi a lunga notte oscura,
e si chiusero vivi in sepoltura.

69.Restò la Giovinetta abbandonata
su la deserta e solitaria riva,
sì tremante, sì smorta, e sì gelata,
ch’a pena avea nel cor l’anima viva.
Veder quivi languir la sventurata
quasi di senso e movimento priva,
de l’onde esposta al tempestoso orgoglio,
altro già non parea, che scoglio in scoglio.

70.Le man torcendo, e ’n vermiglietti giri
dolcemente incurvando i mesti lumi,
con che lagrime (o Dio) con che sospiri
si scioglie in acque, e si distempra in fumi!
Ma raccogliendo il mar tra’ suoi zaffiri
de le stille cadenti i vivi fiumi,
ambizïoso e cupido d’averle,
le serba in conche, e le trasforma in perle.