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canto secondo 141


155.Se bene, a sì gran luce umil farfalla,
il più di voi mi taccio, e ’l men n’accenno,
audace il dico, e so che ’n me non falla
dal sentier dritto travïato il senno.
Perdonimi Giunon, scusimi Palla,
gareggiar vosco, o disputar non denno.
Giudico, che voi sola al mondo siate
l’Idea, non che la Dea de la beltate.

156.Basta ben, ch’a la gloria a voi concessa
fu lor dato poggiar pur col pensiero;
né fur lor poco onor, che fusse messa
la certezza in bilancio, in dubbio il vero.
Or di mia bocca la Giustizia istessa
publica il suo parer chiaro e sincero.
L’obligo suo per la mia mano offerto
questo pomo presenta al vostro merto.»

157.Atteggiata di gioia, ebra di fasto
Venere il prende, indi volgendo i lumi:
«Cedetemi l’onor del gran contrasto»
disse ridente ai duo scornati Numi.
«Confessa pur, Giunon, ch’io ti sovrasto,
e ch’a torto pugnar meco presumi.
Né spiaccia a te, Bellona, a vincer usa,
di chiamarti da me vinta e confusa.

158.Pensò l’una di voi di superarmi
per esser forse in Ciel somma Reina.
E credea l’altra con sue lucid’armi
di spaventar la mia beltà divina.
Ma poco vi giovò, per quanto parmi,
opporsi al ver, ch’al paragon s’affina.
E sì possenti Dee vie più m’aggrada
senza scettro aver vinte, e senza spada.