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canto secondo 137


139.«No no, cosa in me mai forza non ebbe
da poter la ragion metter di sotto.
Tribunal mercenario il mio sarebbe,
s’oggi a venderla qui fossi condotto.
Giudice giusto parteggiar non debbe,
né per prezzo o per premio esser corrotto.
Pèrdon di vero dono il nome entrambi,
s’avien che con l’un don l’altro si cambi.»

140.Così risponde, e nel medesmo loco
accenna a Citherea che venga in campo.
Ella comparve, e di soave foco
nel teatro frondoso aperse un lampo.
Da quell’oggetto, incontr’a cui val poco
a qual più freddo cor difesa o scampo,
non sa con pena di diletto mista
l’ingordo spettator sveller la vista.

141.La qualità di quelle membra intatte
quai descriver saprian Pittori industri?
Rendono oscuro e l’alabastro e ’l latte,
vincono i gigli, eccedono i ligustri.
Piume di cigno e nevi non disfatte
son foschi essempi ai paragoni illustri.
Vedesi lampeggiar nel bel sembiante
candor d’avorio, e luce di diamante.

142.«Eccomi» disse «omai fa’ che cominci
a specolar con diligenza il tutto,
e dimmi se trovar gli occhi de’ Linci
sapriano in beltà tanta un neo di brutto.
Ma mentre ogni mia parte e quindi e quinci
rimiri pur, per divenirne instrutto,
vo’ che gli occhi e gli orecchi in me rivolti,
le fattezze mirando, i detti ascolti.