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128 il palagio d’amore


103.«Paride, io mi son tal, che ne l’acquisto
del desïato e combattuto pomo
senza temer d’alcun successo tristo
rifiutar non saprei giudice Momo.
Te quanto meno, in cui sovente ho vista
accortezza e bontà più che ’n altr’uomo?
Quanto più volentier senza spavento
al foro tuo di soggiacer consento?

104.In terra o in Ciel tra’ più tenaci affetti
qual cosa più sensibile d’Amore?
Qual possanza o virtù, ch’abbia ne’ petti
più de le forze sue forza e valore?
Or che pensi? che fai? che dunque aspetti?
Dove dove è il tuo ardir? dove il tuo core?
Dimmi come avrai core, e come ardire
da poterti difendere, o fuggire?

103.Se ’l pomo, per cui noi stiam qui pugnando,
come senso non ha, potesse averlo,
tu lo vedresti a me correr volando,
né fora in tua balìa di ritenerlo.
Poi ch’e’ venir non pote, io tel dimando,
sì come degna sol di possederlo.
Qualunque don la mia beltà riceve
è tributo d’onor, che le si deve.

106.La vista (il veggio ben) del mio bel volto
t’ha dolcemente l’anima rapita.
Or riprendi gli spirti, e ’n te raccolto
il cor rinfranca, e la virtù smarrita.
Quel che mirabil è, mirato hai molto:
comprender non si può luce infinita.
Gli occhi tuoi, che veduto oggi tropp’hanno,
ad ogni altro splendor ciechi saranno.