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il manzoni e la critica. 281

cabolo, bisognava appunto non cercare d’imitarli nell’altro senso servile. Chè molte cose de’ Classici erano piaciute, perchè avevano trovato negl’intelletti una disposizione a gustarle, nata da circostanze, da idee, da usi particolari che più non sono. Chè, fra i moderni stessi, più vantati son quelli che non imitarono, ma crearono; o, per parlare un po’ più ragionevolmente, seppero scoprire ed esprimere i caratteri speciali, originali, degli argomenti che presero a trattare; vi è un po’ di contradizione nel dire: prendete a modelli quegli scrittori che furono sommi, perchè non presero alcun modello.» Egli non può tollerare l’impero delle leggi stabilite, con molto arbitrio, dai retori. «Ricevere (egli esclama) senza esame, senza richiami, leggi di tali, e così create, è cosa troppo fuori di ragione. E quale infatti (aggiungeva) è l’effetto più naturale del dominio di queste regole? Di distrarre l’ingegno inventore dalla contemplazione del soggetto, dalla ricerca de’ caratteri proprii ed organici di quello, per rivolgerlo e legarlo alla ricerca e all’adempimento di alcune condizioni talvolta affatto estranee al soggetto, e quindi d’impedimento a ben trattarlo. Una delle lodi che noi Italiani in ispecie diamo ai poeti che più siamo in uso di lodare, non è ella forse dell’aver eglino abbandonate le norme comuni, dell’essersi resi superiori a quelle, dell’avere scelta una via non tracciata, non preveduta, nella quale la critica non aveva ancor posti i suoi termini, perchè non la conosceva, e il genio solo doveva scoprirla? Se essi dunque hanno fatto così bene, prescindendo dalle regole, perchè ripeteremo sempre che