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il mare. 57

tempie, e orbite vaste, fosche di luce fosforescente; apparivano bocche schifosamente contratte, braccia supplici mosse da soli tendini e nervi, orrendi busti, e membra disperse lontano e d’ogn’intorno vaganti. Erano i miserrimi resti delle pugne navali, delle imprese fallite, de’ folli ardimenti del figli degli uomini. In quell’aere denso di vapore marino ecco apparire a caratteri di sangue i nomi delle principali battaglie di mare sostenute dall’ambizione o dalla malvagità dei potenti, fra cui ultime queste: Abukir, Trafalgar, Sinope e Sebastopoli.

Estrema mia visione fu questa. Uno sciame di conigli, uscito da foltissima macchia, si lanciò furibondo sulla riva, e si diede a ergere con molta prestezza una diga di rena lunga pochi piedi per frenare l’ira dell’indomito elemento; più accanito di tutti, il loro capo o re, cieco negli occhi e floscio in tutto il corpo, correva d’ogni lato per sollecitare e accendere quella follia. Ma in questa eccoti una sbuffata di acque spingersi innanzi, e sommergere e spegnere tutti quei risibili animalucci. Allora fra uno sghignazzamento di pungentissima ironia, udii queste voci: «Morte dell’esercito persiano e di Xerse re, che pretendeva domare l’Oceano, e flagellarlo per castigo.»