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scorda di chi gli si rivolge, mi concesse fortuna di collocare successivamente a marito le mie care tre figlie — Anna, Elisabetta e Caterina; alle quali il lavoro e l’onestà non mancano di provvedere quanto è necessario alla vita di noi povera gente. Onde di tanti mali patiti non mi resterebbe sì acerba ricordanza, se non sapessi che questi mi vennero tutti, proprio tutti, sulle spalle per colpa di quei birboni di austriaci. Ma, d’un’altra cosa devo ringraziare ancora Domineddio; di avermi, quattro anni fa, fatto grazia di vedere i bastonatori di mio figlio cacciati come tanti cani dai nostri monti dalle schiere garibaldine, e dalla Lombardia dai Francesi e dai nostri prodi soldati. Adesso le mie figlie mi hanno reso bravamente nonno di cinque nipoti; all’Anna toccarono due maschiotti, ch’è una delizia a mirarli; la Elisabetta non potè avere che due figlie; ma le sono sì rotonde e vispe, da farne proprio scapitare due poma fresche e novelle. La Caterina, ultima, ha partorito un maschio, a cui per consiglio di sor Rienzo abbiamo imposto il nome di Vittorio, quello del Re; al primogenito dell’Anna, quel di Giuseppe, e s’ha per inteso quello di Garibaldi. A queste belle e buone cose non si sarebbe pensato davvero, se non ce le metteva in capo sor Rienzo, ch’è tutto