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tonio il gobbo. 143


la cui famigliarità col gobbo lasciava scorgere una conoscenza antica. — Via, un tozzo di pane ce l'hai sempre avuto a’ tuoi comandi, e un qualche bicchiere di vino per giunta. Chè dunque crucciarti di quanto non si può rimediare?

— Un tempo, sor Maurizio (così chiamavasi il capitano), un tempo l'andava assai meglio. Grazie a Dio, è vero, un tozzo di pane non mi è fallito mai; ma a que’ dì, se lo rammenterà di certo, lei, la mia Lena, era fresca come una rosa, e Giacometto non aveva toccato i suoi dodici anni.

A questo punto il gobbo, al quale s’era offerto il quinto bicchiere ricolmo, lo rimetteva nel vassoio com’uomo, cui siasi spento ogni bisogno, e: — Con permesso, diceva, di loro signori, mi assetto un poco. — Posato a terra il violino e l’archetto, si lasciò andare sul pancone prossimo alla finestra, e tacque.

— Che storia è questa, Tonio? noi siamo qui a ridere e a scherzare, e tu ci esci fuori del seminato compunto e contrito come un miserere. Questa poi non ci va, sai. Suvvia! coraggio e speranza: tanto non arrivi mica a mutar d’un filo il passato.

— Lo so, lo so; che vuole? non s’è sempre padroni di sè; me ne incresce, ma le paturnie