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66 | la merope |
punge i cor giovinetti: vanne, figlio,
ch’io seguir non ti posso; a quella calca
reggere i’ non potrei. Se tal mi fossi
qual era allor che i lunghi interi giorni
seguiva in caccia il padre tuo, ben franco
accompagnare i’ ti vorrei; ma ora,
se il desio mi sospinge il piè vien manco.
Vanne, ma avverti ognor che di tua madre
l’occhio sopra di te cader non possa.
Egisto. Vano è che tu di ciò pensier ti prenda.
SCENA V
Polidoro e poi Euriso.
quella misera donna. O quanto egli erra
chiunque dall’altezza dello stato
felicitá misura! E quanto insano
è ’l vulgo che si crede ne’ superbi
palagi albergo aver sempre allegrezza!
Chi presso a’ grandi vive a pien conosce
che, quant’è piú sublime la fortuna,
tanto i disastri son piú gravi, e tanto
piú atroci i casi, piú le cure acerbe.
Euriso. Ospite, ancor se’ qui? Molto m’è caro
di rivederti; ma tu fermo hai ’l piede
in reggia scelerata, in suol crudele.
Polidoro. Amico, il mondo tutto è pien di guai;
terra è facil cangiar, ma non ventura.
Piacque cosí agli dèi. Miser chi crede
— e pur chi non lo crede? — i giorni suoi
menar lieti e tranquilli. È questa vita
tutta un inganno, e trapassar si suole