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62 | la merope |
sue varie frodi.
Egisto. In questo suolo adunque
fu di mio padre il sangue sparso? In questo
gl’innocenti fratelli... E quel ribaldo
pur anco regna? e va superbo ancora
del non suo scettro? Ah! fia per poco; io corro
a procacciarmi un ferro; immerger tutto
quel vo’ nel petto, qui fra mezzo a tutti
i suoi custodi; io vo’ che ciò senz’altro
segua; del resto avranne cura il cielo.
Polidoro. Ferma.
Egisto. Che vuoi?
Polidoro. Dove ne vai?
Egisto. Mi lascia.
Polidoro. O cieca gioventú! Doventi guida
sconsigliato furor?
Egisto. Perché t’affanni?
Polidoro. La morte...
Egisto. Altrui la porto.
Polidoro. A te l’affretti.
Egisto. Lasciami al fin.
Polidoro. Deh, figlio mio — ché figlio
sempre ti chiamerò — vedimi a terra:
per questo bianco crin, per queste braccia,
con cui ti strinsi tante volte al petto,
se nulla appresso te l’amor, se nulla
pònno impetrar le lagrime, raffrena
cotesto insano ardir; pietá ti muova
della madre, del regno e di te stesso.
Egisto. Padre, ché padre ben mi fosti, sorgi;
sorgi, ti prego, e taci; io vo’ che sempre
tal mi veggia vèr te, qual mi vedesti.
Ma non vuoi tu ch’omai m’armi a vendetta?
Polidoro. Sí, voglio; a questo fin tutto finora
s’è fatto; ma le grandi ed ardue imprese