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SCENA VI

Oralto e Morasto.

OR ALTO. Io pensar ben potea che inutil fosse

con cosi rozza gente esser cortese:
nati e nodriti in selve,
son poco men che belve;
ma costei che indomabile si mostra,
che d’un sol guardo farmi lieto sdegna
e che né pur vuol farmi
onor con ingannarmi,
io farò che si penta
e che il suo stato meglio intenda e senta.
Morasto.   Non durerá, signor, tanta alterezza;
sii certo che in brev’ora
noi la vedrem cangiar pensieri e voglie,
qual serpe che ad april cangi sue spoglie.
Or ALTO. Al lor destin condurle assai fia meglio,
e volgendo al Soldan tosto le prore,
assicurarmi con si nobil dono
questo piccolo regno. Io giá mi pento
del mio debile spirto, esca dal petto
ogni tenera cura,
né cangi Oralto in questo di natura.
Ami la donna imbelle,
cui non dieder le stelle
alma capace d’altro che d’amor;
ma Tuoni nato a gran cose
sdegni cure amorose
ed abbia sol nel seno ira e valor.