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152 le cerimonie


ch’ora vuol il bel vivere che non

si stia giá mai piú di due ore senza
mangiare o bere.
Trespolo.   Discorre benissimo
la padrona, e dovrebbe in questo mese
esser doppio anche il mio salario.
Massimo.   Sta
attento tu e, quando senti la
carrozza, corri, ch’io voglio esser giú
a lo smontar che faranno e servirle
di braccio.
Aurelia.   Torna poi tosto a osservare,
correndo ad avvisarmi in tal misura
ch’io le possa incontrar nel punto che
alzano il piede a l’ultimo gradino.
Trespolo.   Non fallerò, avrò meco la pertica.
Massimo.   Or bisogna pensar che qui non servono
i complimenti usati, è singolare
l’occasione e l’incontro.
Aureli a.   Io giá ci ho
pensato e ancor ci penso.
Trespolo. (tornando indietro). Se venisse
avanti il can della signora Antea,
debbo avvisare?
Massimo.   No, balordo, basta
che n’avvisi Melampo.
Aurelia.   Senta un poco,
signor zio; a rimboccar che faranno
la porta de la sala madre e figlia:
«L’ossequio de la nostra casa viene
ad incontrar l’onore ch’or ci fa
la casa loro, e poiché adesso prendono
il possesso di questa casa loro...».
No, ché c’è un’altra volta «casa loro».
Massimo.   Ed anco non mi piace quell’«ossequio»
ora ch’è giá mia moglie.