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atto primo 7


altra s’accese, e senza aver riposo

or qua accorrendo or lá, sudar fu forza
un decennio fra l’armi. In pace poi
gli estranei mi lasciâr, ma allor lo stato
cominciò a perturbar questa mal nata
plebe, e in cure sí gravi ogni altro mio
desir si tacque. Or che a la fine in calma
questo regno vegg’io, destarsi io sento
tutti i dolci pensier; la mia futura
vecchiezza io vo’ munir co’ figli, e voglio
far pago il mio fin qui soppresso amore.
Merope.   Amore, eh? Sempre chi in poter prevale
d’avanzar gli altri anche in saper presume,
e d’aggirare a senno suo le menti
altrui si crede. Pensi tu sí stolta
Merope che l’arcano e ’l fin nascosto
a pien non vegga? L’ultimo tumulto
troppo ben ti scoprí che ancor sicuro
nel non tuo trono tu non sei, scorgesti
quanto viva pur anco e quanto cara
del buon Cresfonte è la memoria. I pochi,
ma accorti amici tuoi sperar ti fanno
che, se t’accòppi a me, se regnar teco
mi fai, scemando l’odio, in pace al fine
soffriranno i messeni il giogo. Questo
è l’amor che per me t’infiamma, questo
è quel dolce pensier che in te si desta.
Polifonte.   Donna non vidi mai di te piú pronta
a torcer tutto in mala parte. Io fermo
son nel mio soglio sí che nulla curo
d’altrui favor, e di chi freme in vano
mi rido e ognor mi riderò. Ma siasi
tutto ciò che tu sogni; egli è pur certo
che il tuo ben ci è congiunto. Or se far uso
del tuo senno tu vuoi, la sorte afferra,
né darti altro pensier; molto a te giova