Pagina:Maffei, Scipione – Opere drammatiche e poesie varie, 1928 – BEIC 1866557.djvu/10

4 la merope


Dunque negletta, abbandonata e quasi

prigioniera restar piú tosto vuoi,
che ricovrar l’antico regno?
Merope.   Un regno
non varrebbe il dolor d’esser tua moglie.
Ch’io dovessi abbracciar colui che in seno
il mio consorte amato (ahi rimembranza!)
mi svenò crudelmente? E ch’io dovessi
colui baciar che i figli miei trafisse?
Solo in pensarlo io tremo, e tutte io sento
ricercarmi le vene un freddo orrore.
Polifonte. Deh! come mai ti stanno fisse in mente
cose giá consumate e antiche tanto
ch’io men ricordo appena! Ma i’ ti priego,
dá loco a la ragion: era egli giusto
che sempre sui messeni il tuo Cresfonte
solo regnasse e ch’io, non men di lui
dagli Eraclidi nato, ognor vivessi
fra la turba volgar confuso e misto?
Poi tu ben sai che accetto egli non era.
e che non sol gli esterni aiuti e l’armi,
ma in campo a mio favor vennero i primi
ed i miglior del regno; e finalmente
ciò che a regnar conduce ognor si loda.
Che se per dominar, se per uscire
di servitú, lecito all’uom non fosse
e l’ingegno e ’l valor di porre in opra,
darebbe Giove questi doni indarno.
Merope.   Barbari sensi! L’urna e le divine
sorti su la Messenia al sol Cresfonte
dièr diritto e ragion; ma quanto ei fosse
buon re, chiedilo altrui, chiedilo a questo
popolo afflitto che tutt’ora il piange.
Tanto buon re provollo esso, quant’io
buon consorte il provai. Chi piú felice
visse di me quel primo lustro? E tale