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come attratto da quei colori e da quella foggia. Sul suo volto si diffondeva un dolore quieto e profondo; sgorgavano lagrime dai suoi occhi stanchi e scorrevano giù per le gote smunte, inperlavano la lunga barba candida; e guardava, guardava. Poi si lasciò cadere in ginocchio e si prostrò implorando con parole strane. Egli era El-Hadj Abd-Errahman El-Heulj.

Invocava perdono, e forse non dagli uomini. La sua preghiera disperata era rivolta all’uniforme, a quell’uniforme che egli aveva vestito in giorni lontani ed onesti, e che aveva tradito. Abbandonata e dimenticata, essa tornava, come un rimorso, a parlargli d’una patria perduta, di gioie sepolte, di battaglie fuggite. E tutto quello che egli credeva da lunghi anni spezzato in lui, si riannodava con stretta implacabile. La giovinezza si congiungeva alla vecchiaia estrema: tutto il resto crollava. Qualche giorno dopo El-Hadj morì.

Al fiume Mikkes comincia il territorio d’un’altra tribù fedele al Makhzen, quella degli Udeya. La capitale è tutta circondata da questi cosacchi sceriffiani, tribù venute in epoche relativamente recenti dalle oasi del sud, dalla culla della dinastia, genti rozze e fanatiche che mantengono ancora in tatto il culto per lo sceriffo, che hanno portato dall’interno una freschezza selvaggia, una ingenuità beduina non ancora contaminata dalla corruzione moresca. Fez non è più che a sei ore di strada dal ponte del Mikkes.

Sono le ore più lunghe e noiose del viaggio. Si ha la febbre di giungere, di sapere che cosa c’è in fondo a quella interminabile strada così aspra. La via che conduce ad una città vi parla sempre di essa, vi prepara all’arrivo, vi dice vagamente con voce sempre più alta quello che vi aspetta, essa gradatamente vi fa giungere all’orecchio il linguaggio che udrete, vi mostra gli uomini alla cui folla andrete a mescolarvi, vi abitua ai loro usi, alle loro idee, e di tanto intanto lascia intravedere in qualche edificio l’impronta di un’arte singolare della quale i capolavori ammirerete alla fine. Che cosa mi aveva mostrato la via che porta a Fez?

Essa mi aveva strappato dall’Europa, rudemente, to-